9 luglio 2021

Franciacorta (11)

Da quando è iniziato questo nostro viaggio, ormai quasi tre mesi fa, l’appuntamento più atteso e più richiesto è stato uno: la Franciacorta.

E oggi che questo appuntamento è finalmente arrivato, mi viene da scrivere la prima, banale, considerazione; checché ne dicano i suoi detrattori, oggi la Franciacorta gode di una fama e di un prestigio pressoché unanime tra gli appassionati di bollicine. E già il fatto che oggi non si parli più di vini spumanti ma, appunto, di bollicine (termine coniato proprio dal Consorzio Franciacorta qualche anno fa) la dice lunga sulla grande competenza, anche mediatica, degli attori protagonisti di questo “miracolo enologico bresciano”. Eh si perché di vero e proprio miracolo enologico parliamo, visto e considerato che in soli 50 anni (tempo incredibilmente breve per il mondo del vino) la Franciacorta è diventata la zona spumantistica italiana più rinomata, merito soprattutto di una lungimiranza imprenditoriale con pochi eguali e di scelte chiare e precise da parte delle istituzioni coinvolte.

Ma vale la pena raccontare com’è nata la Franciacorta. Era la metà degli anni ‘50, il giovane Guido Berlucchi, erede della famiglia Lana ‘de Terzi, nobili possidenti terrieri, produceva per diletto nella tenuta di Borgonato un vino bianco fermo chiamato “Pinot del Castello” (i vigneti erano vicini al Castello di Borgonato).

Piccolo inciso: la viticoltura in questa zona quegli anni era di scarsa importanza (parliamo di non più di 100 ettari vitati totali) e basata quasi esclusivamente sull’autoconsumo di vini rossi.

Torniamo a noi: i risultati per il giovane Berlucchi non erano soddisfacenti (il vino intorbidiva sempre) e si mise allora alla ricerca di un tecnico che potesse aiutarlo. Su suggerimento di un amico incontrato al mercato, conobbe un altro giovane del luogo, Franco Ziliani, figlio di un commerciante di vino di Paratico e da poco diplomato alla scuola enologica di Alba. Dopo un paio di incontri, Franco Ziliani propose a Berlucchi di produrre uno spumante metodo classico (allora chiamato “champenoise”) “sullo stile di quelli francesi”, dei quali Ziliani si era innamorato il Natale precedente, grazie a una bottiglia di Champagne Piper Heidsieck stappata a cena da suo padre. Seguirono alcuni anni di prove e sperimentazioni, e nel 1961 videro la luce le prime tremila bottiglie di spumante metodo champenois che Ziliani volle chiamare “Pinot di Franciacorta”.

Fu l’inizio di tutto. In breve tempo le bottiglie divennero 20.000, poi 100.000 e poi sempre di più. Nel frattempo nel 1967 il nome Franciacorta ottiene la DOC e diventa così il termine unico che contraddistingue lo spumante metodo classico prodotto in questa zona.

A proposito, cerchiamo di identificarla la zona: la Franciacorta è l’areale sud del lago d’Iseo e comprende 190 comuni che vanno da Brescia a est fino a Paratico a ovest. I vitigni colitvati sono principalmente tre: Chardonnay (di gran lunga il più importante, a differenza dello Champagne dove ad esempio è il Pinot Nero a primeggiare), Pinot Nero e Pinot Bianco (invero sempre meno diffuso). Recentemente, dopo una lunga e attenta sperimentazione, è stata introdotta un’antica varietà autoctona bresciana, l’Erbamat, che è quindi possibile aggiungere in piccole percentuali alla cuvée.

Come sempre, i numeri ci aiutano a capire le dimensioni del fenomeno di cui stiamo parlando. La Franciacorta oggi conta all'incirca 3.300 ettari vitati, 120 aziende produttrici e circa 16 milioni di bottiglie prodotte. Numeri importanti per il micro-territorio di cui stiamo parlando, ma assolutamente deficitari nei confronti degli altri giganti produttivi nel panorama mondiale dei vini spumanti. Basti pensare che lo Champagne realizza 300 milioni di bottiglie, il Cava in Spagna 250 milioni e il nostro Prosecco ha sfondato il muro delle 500 milioni di bottiglie prodotte.

Ma di quello che succede nel Mondo, tutto sommato, a noi importa il giusto: questi numeri così piccoli fanno si che il Franciacorta venga venduto e consumato per la stragrande maggioranza nel Nord Italia (Parma è il mercato più importante), e per questo è un vino che noi cremonesi amiamo molto.

Già, ma le cantine? Quali segnalare, quali visitare?

Qualsiasi elenco sarebbe sicuramente incompleto e parziale, ma tant’è; col rischio di scontentare qualcuno vi dico alcuni nomi che vi consiglio (e perchè). Naturalmente Guido Berlucchi a Borgonato (per conoscere le origine della storia); Ca’ del Bosco a Erbusco (per ammirare un incredibile, grandiosa e perfetta azienda moderna); Monte Alto a Clusane (per scoprire che esistono vigneron anche in questa terra così vocata imprenditorialmente); Andrea Arici a Gussago (per ammirare uno splendido anfiteatro di vigne terrazzate); Corte Fusia a Coccaglio (per scoprire la bellezza delle vigne del Monte Orfano); Antica Fratta a Monticelli Brusati (per le bellissime cantine scavate nella roccia); Mosnel (per l’affascinante e storico borgo di Camignone); Clarabella a Iseo (per coniugare il buono con il sociale); Ferghettina ad Adro (per la Biblioteca di annate storiche); Bosio a Timoline di Cortefranca (per l’accoglienza cordiale e la grande passione); Cavalleri e Uberti a Erbusco (per la storicità della vigna e della cantina).

Chiudiamo con una curiosità: la Franciacorta è una delle sole tre denominazioni italiane (le altre sono Asti e Marsala) che non necessitano della relativa sigla in etichetta (doc, docg, ecc.) poiché il nome da solo identifica la zona, il metodo produttivo e il vino.

Andrea Fontana


© RIPRODUZIONE RISERVATA




commenti


patrizia signorini

11 luglio 2021 08:04

Come sempre, un grande grazie ad Andrea per la sua narrazione accurata e corretta.
Aggiungo solo un piccolo aneddoto su Franco Ziliani. Fu compagno di corso di Beppe Colla, grande enologo a cui la Langa intera deve moltissimo ( sue le prime classificazioni di quelli che oggi conosciamo come "crù" del Barolo; sua prima la Prunotto e poi la grande ascesa dell'azienda di famglia, la Poderi Colla) . Terminati gli studi, i giovani enologi pensavano soprattutto ai vini rossi del loro territorio, ma Franco Ziliani se ne uscì con la dichiarazione spiazzante per quei tempi di voler tornare nelle sue terre bresciane a fare "spumante". Solo Beppe Colla lo prese meno per matto, dato che proprio suo padre Pietro Colla aveva portato dalla Francia nozioni, strumenti e prove di metodo classico tutt'ora visibili in azienda. La storia ha dimostrato che Franco Ziliani fu un genio precursore, senza il quale la Franciacorta che conosciamo oggi non ci sarebbe stata.