25 febbraio 2022

I produttori naturali (38)

Siamo giunti al termine di questo nostro mini viaggio all’interno dei metodi produttivi più diffusi, e dopo aver parlato dei produttori convenzionali, dell’agricoltura biologica e dei produttori biodinamici, e arrivato il momento di affrontare la parte più controversa di questo argomento: mi riferisco ai cosiddetti produttori naturali.

Lo faccio con la consapevolezza che sarò sommario, grossolano e anche un po’ tranchant, e chiedo scusa fin da ora se qualcuno si risentirà di queste mie righe.

La premessa è sempre la stessa: produrre vini che siano il più possibile espressione del proprio terroir. Questa parola francese, che non ha una traduzione esatta in italiano, identifica l’insieme del terreno, del clima, del vitigno, del vigneto e delle pratiche culturali in esso praticate. In altre parole, esprimere il proprio terroir significa realizzare bottiglie che siano l'espressione più pura che si può ottenere in un determinato contesto naturale. Il tutto, ovviamente, senza arrecare danno all’ambiente, senza impoverire il terreno, senza utilizzare alcuna sostanza chimica o di sintesi sia come diserbante che come antiparassitario. E, infine, significa praticare un’enologia il meno invasiva possibile, vale a dire niente controllo delle temperature di fermentazione, niente lieviti selezionati, niente chiarifiche, filtrazioni, solfitazioni, ecc. In poche parole, e detto anche un pò grossolanamente, essere produttori naturali significa produrre il vino come lo facevano i nostri nonni, cioè con un apporto umano minimo.

Mi si obietterà che molte di queste cose le abbiamo già viste sia nel disciplinare di produzione biologico che biodinamico, ed è vero. Tuttavia, i produttori naturali rifiutano queste etichette perché considerano queste certificazioni troppo permissive nei confronti di pratiche che loro rifuggono categoricamente.

Mi si obietterà anche che se, di fatto, produrre vini naturali significa sostanzialmente non fare nulla (ripeto: come facevano i nostri nonni), allora questi vini avranno anche gli stessi difetti organolettici e gusto-olfattivi dei vini contadini di cinquant’anni fa. E questo è vero ma solo in parte, visto che le conoscenze agronomiche di oggi sono sicuramente maggiori rispetto al passato e che l’obiettivo di questi produttori naturali, come già detto prima, è portare in cantina uva sana e all’apice della propria maturazione, che quindi darà vita (o dovrebbe dare vita) a vini di qualità.

Al contrario di chi pratica agricoltura biologica certificata o di chi è associato Demeter (e quindi pratica agricoltura biodinamica), i produttori naturali non hanno nessuna associazione che li tutela e rappresenta. O meglio, in realtà esistono numerose associazioni di produttori naturali, più o meno grandi e più o meno famose, ma nessuna di esse ha valenza per così dire “ufficiale” o rappresentatività istituzionale. Le più conosciute sono Vin Natur (che storicamente si riuniva a Villa Favorita a Monticello di Fara e oggi si riunisce a Gambellara) e ViniVeri (che si riunisce a Cerea, Verona). Abbiamo poi diverse fiere o distribuzioni che li rappresentano, come l’evento Vini di Vignaioli a Fornovo (PR) o il catalogo di Triple A (Agricoltori, Artigiani, Artisti) di Velier, storico distributore di Genova.

Ci sono molti dubbi e molte chiacchiere attorno al mondo dei produttori naturali. A partire da questa parola “naturale” che alimenta da sempre polemiche a volte sfociate anche in cause legali tra gli esponenti di questa corrente e i produttori che adottano pratiche cosiddette convenzionali.

Al netto delle differenti visioni e convinzioni, non si può sottacere il fatto che spesso, alcuni di questi produttori poco “limpidi”, autodefinitosi naturali, mascherano o giustificano sotto l’ombrello della naturalità vini che hanno evidenti e incontrovertibili difetti organolettici, e che sono tutto fuorché gradevoli.

A difesa dei produttori naturali seri e bravi (ce ne sono, e anche parecchi) va però detto che la mancanza, appunto, di un organismo o associazione che li tutela, e soprattutto che stabilisce quali pratiche agronomiche ed enologiche sono ammesse e quali no, per far parte di questa categoria; questa mancanza, dicevo, permette anche a chi non ha competenze tecniche di approfittare del successo commerciale dei vini naturali, spesso senza averne capacità, serietà, onestà. E questo, ripeto, a scapito dei bravi e seri produttori naturali.

Produttori che da sempre cavalcano una battaglia sacrosanta e condivisa da molti (me compreso), della quale ho già accennato nel coccodrillo dedicato alla scomparsa di Lino Maga: la richiesta dell’obbligo di indicare nella retro etichetta del vino, così come accade per tutti i prodotti alimentari confezionati (e una bottiglia di vino, di fatto, lo è) l’elenco degli ingredienti.

Perché nel mondo del vino esiste da sempre un paradosso, talmente storicizzato da non fare più notizia, ma che paradosso rimane: chi utilizza e aggiunge al vino uno o più degli oltre 100 additivi enologici consentiti dalla legge, non ha nessun obbligo di dichiararlo al consumatore. Chi, al contrario, decide di produrre in maniera meno invasiva, rinunciando all’utilizzo di queste pratiche, deve pagare per ottenere una certificazione che lo attesti.

Se ci pensi bene, amico mio lettore, amica mia paritaria, dovrebbe essere il contrario: il produttore che “manipola” il vino dovrebbe essere obbligato a dichiararlo in etichetta, a tutela e difesa del consumatore; mentre il contadino che non usa nulla di artificiale, e immette sul mercato un prodotto salubre e genuino, dovrebbe essere salvaguardato e non costretto a sostenere i costi delle obbligatorie certificazioni che gli consentono di dichiarare la propria appartenenza ad un sistema di produzione più naturale.

Andrea Fontana


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