29 ottobre 2021

I solfiti, questi sconosciuti (25)

Nel nostro consueto appuntamento del venerdì, la scorsa settimana ho voluto giocare un po’ e sfatare alcuni miti che si sentivano raccontare in passato (e forse anche nel presente) nelle osterie Cremonesi. Tra i tanti argomenti sfiorati o accennati, ce n’è uno che ha riscosso l’attenzione maggiore, sul quale ho pensato di soffermarmi questa settimana; sto parlando dell’annosa questione dei solfiti.

Raccontiamo l’antefatto prima di entrare nel dettaglio: un bel giorno, era più o meno la primavera del 2007, hanno iniziato a comparire, sugli scaffali delle enoteche e dei supermercati, delle bottiglie di vino con la scritta in etichetta CONTIENE SOLFITI.

Apriti cielo! "Ecco, hanno iniziato a fare il vino con le polverine!" era probabilmente il commento più benevolo che si sentiva dire tra agli appassionati in quei tempi, oltre ai soliti "non ci sono più i vini di una volta", "ormai è tutta chimica", "chissà che porcherie ci mettono dentro", e via di questo passo.

Naturalmente non è così, e vediamo nello specifico cos’è successo. È successo che in quel periodo entrò in vigore il Decreto Legislativo 114 del 2006 che, recependo una direttiva dell’Unione Europea, impose l’obbligo dell’indicazione, nell’etichetta dei prodotti alimentari, della presenza dei cosiddetti allergeni, cioè le sostanze più diffuse che possono provocare allergie alimentari. Hai presente, amico mio lettore, amica mia paritaria, gli elenchi che trovi alla fine della lista degli ingredienti di ogni prodotto alimentare confezionato: "contiene glutine, uova, latte, senape, sedano, ecc.”? Ecco, i solfiti rientrano in questa lista delle sostanze allergeniche, e pertanto dal 2007 è stato reso obbligatorio segnalarlo anche nelle etichette dei vini.

Ma i solfiti nel vino (e non solo, lo vediamo tra poco) ci sono sempre stati, e anzi cerchiamo di capire brevemente cosa sono e a cosa servono.
Una volta pigiata l’uva e trasferita nelle vasche di fermentazione, prima di avviare la fermentazione alcolica il mosto viene generalmente trattato aggiungendo metabisolfito di potassio o solfito di calcio, composti che si presentano in forma polverosa e che a contatto con l’acqua sprigionano l’anidride solforosa, cioè i famosi solfiti (usare l’anidride solforosa allo stato puro risulterebbe alquanto problematico visto che è in forma gassosa).

Questa pratica, da sempre svolta, ha numerose motivazioni, la più importante è che l’anidride solforosa protegge il mosto dagli attacchi batterici e dai processi enzimatici, che potrebbero verificarsi soprattutto quando il mosto è molto zuccherino e poco acido. Inoltre, ed è questa la motivazione più importante, l’anidride solforosa è antiossidante (limita l’azione dell’ossigeno), antiossidasica (limita l’azione dell’enzima ossidasi che disturba la stabilità e la limpidezza del vino), antisettica (combatte i microrganismi) e antibatterica (uccide i batteri e favorisce lo sviluppo dei lieviti saccaromiceti).

Non solo. i solfiti sono anche un sotto-prodotto della fermentazione alcolica, quando i batteri saccaromiceti trasformano lo zucchero in alcol, anidride carbonica, calore e mille altre piccolissime sostanze, tra cui appunto i solfiti. Come dire: se anche l’uomo non ne aggiungesse prima di avviare la fermentazione alcolica, questi sarebbero presenti nel vino. E difatti, quei pochi produttori che non aggiungono metabisolfito di potassio, spesso scrivono in etichetta “non contiene solfiti aggiunti”, perché i solfiti naturali, come abbiamo appena visto, sono presenti.

"E però le etichette del vino sono le uniche che hanno la scritta “contiene solfiti”, quindi chissà quanti ce ne sono!"

Sbagliato anche questo. I limiti massimi sono stabiliti per legge (in Italia: 160 mg/l per i vini rossi, 210 mg/l per i vini bianchi e 230 mg/l per i vini dolci) e quasi sempre la loro presenza reale non arriva neanche alla metà di quanto ammesso (e non dimentichiamo che il disciplinare di produzione dei vini biologici ha 60 mg/l in meno per ogni categoria) e sono naturalmente ben al di sotto della tolleranza umana.

In più, e questa forse è la parte peggiore della faccenda, fai ben attenzione a quanto sto per dirti: in Europa esiste una tabella, disciplinata per legge, dei cosiddetti additivi alimentari. Sono tutte quelle sostanze che vengono aggiunte nei prodotti alimentari confezionati e hanno diversi scopi: conservanti, coloranti, antiossidanti, regolatori di acidità, addensanti, emulsionanti, gelificanti, stabilizzanti, esaltatori di sapidità. Ognuno di questo additivo è contrassegnato da una sigla con la lettera E maiuscola e tre cifre. Ebbene: la categoria che va da E220 a E228 è, appunto, quella dei solfiti. Ora, se hai voglia di toglierti una curiosità, ti invito a leggere le etichette dei prodotti alimentari confezionati (crackers, grissini, crostini, brioches, lievitati dolci, lievitati salati, ecc.) sullo scaffale di un supermercato. Ti stupirai a leggere quanti prodotti contengono E220 (anidride solforosa), E224 (metabisolfito di potassio), ecc. Quindi, ricapitolando: tutti i prodotti alimentari confezionati (o quasi), contengono solfiti. solo che nel vino è obbligatoria la dicitura esplicita "contiene solfiti”, invece l’industria alimentare può “mascherare” questa cosa nascondendosi dietro le incomprensibili sigle E220, E221, ecc. Lascio a te, amico mio lettore, amica mia paritaria, trarre le tue conclusioni.

A venerdì prossimo. 

Andrea Fontana


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commenti


Patrizia Signorini

29 ottobre 2021 18:35

Veramente complimenti per la completezza e la accurata spiegazione . 😁 Accanto al memorandum sul fragolino, da tempo ne ho uno anche sui solfiti, argomento davvero immancabile ormai quando si parla di vino... ... Grazie!!!

Andrea Fontana

30 ottobre 2021 08:24

Grazie mille Patrizia, e complimenti a te per l'enorme lavoro di sensibilizzazione e divulgazione del vino di qualità che fai da tantissimi anni.