25 novembre 2022

I vini dolci naturali (67)

E’ indubbio che quest’anno lo Spirito Natalizio abbia pervaso la nostra società in largo anticipo rispetto agli altri anni.

La prova, oltre che dalle vetrine dei negozi già addobbate, dalle luminarie già accese per le vie del centro di numerose città e paesi, sta nel fatto che ho già largamente abusato di panettoni e torrone.

Stai tranquillo, amico mio lettore, amica mia paritaria, non è mia intenzione rifilarti con un mese di anticipo la consueta guida su “cosa bere durante le feste” (che in ogni caso scriverò, ma tra qualche settimana).

Tuttavia ho pensato di prendere spunto dalla mia predilezione per i grandi lievitati dolci natalizi, per raccontarti i metodi di produzione e le tipologie esistenti di una delle categorie più affascinanti, ma ahimè meno considerata, di vini esistente: i vini dolci.

Esistono due categorie di vini dolci: i vini dolci naturali e i vini dolci speciali.

Data la vastità dell’argomento, quest’oggi vedremo la prima, per la quale è necessario iniziare con una definizione, che potrà sembrare scontata, ma non lo è: cosa sono i vini dolci?

Vengono considerati vini dolci quelli che presentano un residuo zuccherino maggiore di 50 gr./lt. (o altre percentuali stabilite di volta in volta dal disciplinare).

La parola chiave in questa definizione è residuo. Ciò significa, tradotto, che lo zucchero presente nel vino (e che quindi lo rende dolce in bocca) non è aggiunto, ma appunto un residuo, un rimanente della fermentazione alcolica, che sappiamo trasformare lo zucchero presente nell’uva (e quindi nel mosto) in alcol.

Bene, per produrre vini dolci naturali bisogna quindi fare in modo che ci sia una presenza maggiore di zucchero nel mosto rispetto al normale. Così facendo, quando la fermentazione alcolica avrà sviluppato i gradi alcolici desiderati (11, 12, 13, ecc), la si arresterà e si otterrà così un vino con residuo zuccherino importante, vale a dire dolce.

Ma come posso fare per aumentare la presenza di zucchero all’interno del mosto?

In realtà è abbastanza intuitivo: non potendo aggiungere lo zucchero al mosto, bisogna banalmente diminuire la quantità di mosto, cioè di liquido; in altre parole eliminare l’acqua all’interno dell’acino. In altre parole ancora, con una definizione volutamente imprecisa, appassire l’uva.

Questo procedimento viene realizzato in diversi modi, tutti strettamente collegati al clima e alla latitudine alla quale ci troviamo.

Abbiamo ad esempio gli Ice Wine o Vini del Ghiaccio, per i quali si sfrutta la capacità dell’acqua cristallizzata di bucare l’acino e di favorire così, nelle ore calde della giornata, la fuoriuscita dell’acqua dal suo interno. In pratica, in queste zone molto fredde (si producono Ice WIne tradizionalmente in Germania e Canada, ma anche Austria e ultimamente Nord Italia, e comunque in tutte quelle zone dove l’escursione termica giorno-notte è rilevante) di notte la rugiada che ricopre l’acino si ghiaccia e assume la forma tipica del cristallo di ghiaccio, bucando così la sua buccia. Di giorno quando la temperatura sale l’acino perde acqua e si rattrappisce, arrivando ad una percentuale di zucchero al suo interno che raggiunge il 30%.

Esistono poi i vini dolci ottenuti grazie alla comparsa sulle bucce degli acini della Botrytis Cinerea, la cosiddetta Muffa Nobile. Questo fungo parassita attacca l’acino e lo danneggia, favorendo anche in questo caso la fuoriuscita di liquido dal suo interno. I più famosi passiti del Mondo da muffa nobile sono i Sauternes, nella zona interna di Bordeaux, ma non mancano prodotti analoghi anche in altre zone del Mondo e in Italia (ad esempio Muffato della Sala di Antinori).

Ma tolti il ghiaccio e le muffe nobili, come già accennato, la stragrande maggioranza dei vini dolci viene ottenuta con il metodo dell’appassimento. Questo appassimento può verificarsi in ambienti con climi molto caldi (ad esempio il Sud Italia) dove sarà veloce e repentino, oppure in ambienti meno caldi, dove invece sarà più prolungato. Inoltre, questo appassimento può avvenire sulla pianta in vigna (e quindi si parla di “vendemmia tardiva”) oppure facendo appassire i grappoli dopo la vendemmia, sia in ambiente aperto (su stuoie, graticci o appesi, ecc.) sia in ambiente chiuso (in particolari stanze a temperatura e umidità controllate).

Una volta concentrato lo zucchero all’interno dell’acino nei modi sopra elencati, le uve vengono vinificate, ma con una precisa raccomandazione: ad un certo punto la fermentazione alcolica va bloccata, altrimenti se viene svolta per intero, tutto il nostro impegno per aumentare la concentrazione zuccherina avrà ottenuto il solo scopo di produrre vini secchi con 16 o 17 gradi alcolici (ti stanno venendo in mente l’Amarone della Valpolicella o lo Sforzato di Valtellina? Benissimo! Perché è esattamente questo che sono: vini passiti secchi).

Torniamo a noi. Questo parziale svolgimento della fermentazione normalmente viene favorito dall’intervento dell’uomo, ad esempio attraverso il controllo della temperatura (sappiamo che al di sotto di una certa soglia l’azione dei lieviti si interrompe) o utilizzando additivi enologici tradizionali, come il bisolfito di potassio (la famosa anidride solforosa) che in una certa concentrazione blocca l'azione dei lieviti.

Una volta bloccata la fermentazione, i vini ottenuti proseguono il loro affinamento e la loro maturazione utilizzando tutte le normali operazioni che abbiamo già visto per i vini secchi: travasi, filtrazioni, chiarifiche, affinamenti in acciaio o legno, ecc.

La settimana prossima vedremo meglio l’altra grande famiglia di questa categoria, quella dei vini dolci speciali.

Andrea Fontana


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