10 settembre 2021

Il Barolo di Brescia (18)

Se una ventina di anni fa foste andati in qualche osteria di Brescia particolarmente campanilista, e aveste chiesto un bicchiere di vino rosso , probabilmente vi avrebbero versato un calice di Botticino, appellandolo come Barolo di Brescia.

Eh si perchè il vino rosso di Botticino è sempre stato considerato il vino più significativo di tutta la provincia Bresciana, prima ancora che nascesse la Franciacorta o il Lago di Garda si smarcasse dalla produzione commerciale legata al turismo teutonico. Tuttavia, il fatto che oggi quasi nessuno conosca questo vino, la dice lunga su come sono andate le cose, che cercherò brevemente di raccontare.

Fino a pochi decenni fa la viticoltura era una pratica agricola esclusiva dei territori di collina. E la collina che storicamente in provincia di Brescia dava il vino migliore era proprio quella di Botticino, o più in generale della cosiddetta Valverde, dove si trovano gli agglomerati urbani di Botticino Sera, Botticino Mattina e San Gallo, un tempo divisi e oggi riuniti sotto il comune unico di Botticino. Qui i suoli sono unici al mondo, e ospitano il famoso marmo bianco denominato Botticino Classico, vero amico-nemico del vino di Botticino.

Amico perché, come scrivevo poc’anzi, genera un sottosuolo unico al mondo per la coltivazione della vite, e dona al vino qui ottenuto mineralità e sapidità davvero di grandissimo interesse.

Nemico perché, com’è facile intuire, o si estrae il marmo o si coltiva la vite, le due cose non possono coesistere. Ecco allora che nei decenni che vanno dalla fine del XVIII secolo a tutta la prima metà del XIX secolo, grazie soprattutto alla commessa dell’allora Ministro degli Interni Giuseppe Zanardelli, bresciano doc, che agevola l’utilizzo del marmo di Botticino per la costruzione dell’imponente Monumento VIttoriano a Roma (il cosiddetto Altare della Patria), la viticoltura a Botticino subisce un arresto pressoché totale che mostra i propri segni ancora oggi.

Succede così che dagli iniziali 1000 ettari vitati del 1910, si passa gli attuali 40, complice appunto l’economia di Botticino che premia soprattutto le cave di marmo rispetto al vino. Ecco quindi che intere famiglie che fino ad allora avevano vissuto di agricoltura, abbandonano i campi per dare vita alle famose cooperative che si occupano di cavare, lavorare e commercializzare il pregiato minerale. Le vigne vengono lasciate incolte e cominciano pian piano a venire inglobate dal bosco, ed oggi il panorama che si presenta visitando le colline di Botticino è suggestivo quanto malinconico: vecchi vigneti terrazzati interamente abbandonati e percorsi boschivi caratterizzati appunto dai gradoni del terreno, segno di un passato di coltivazione del quale non rimane quasi più traccia.

Il vino di Botticino inizia così a diventare meno diffuso, meno conosciuto e meno redditizio, innescando una spirale negativa che solo negli ultimissimi anni si sta cercando di invertire. Se infatti l’ottenimento della DOC risale al 1968, ed è una delle più antiche della Provincia (la legge quadro che istituisce le denominazioni è del 1963), purtroppo come già spiegato la sua produzione è in continuo calo e il relativo Consorzio, nato nel 1996, è attivo più sulla carta che nel concreto.

Da un punto di vista ampelografico il vino rosso di Botticino è formato principalmente da uve Barbera e Sangiovese con saldo di Marzemino e Schiava Gentile. La zona di produzione copre il territorio comunale di Botticino e alcune zone che ricadono nei comuni confinanti di Rezzato e Brescia (la frazione Caionvico). La tradizione vuole lunghe (a volte troppo) macerazioni e altrettanti lunghi (sicuramente troppo!) affinamenti, spesso in legni vecchi, che purtroppo non ingentiliscono il vino, anzi. Il vino rosso di Botticino è pertanto tradizionalmente denso, alcolico, robusto, strutturato e portato all’invecchiamento, e da qui l’appellativo iniziale di Barolo di Brescia che vi dicevo. Il suo equilibrio è tutto giocato tra l'acidità della Barbera e il tannino del Sangiovese, a cui si aggiungono le note fruttate del Marzemino e floreali/speziate della Schiava.

I produttori rimasti superano a malapena la decina, e alcuni di questi sono più hobbisti che altro. Il più significativo è sicuramente Noventa, dove le sorelle Alessandra e Rossella portano avanti il lavoro iniziato da papà PierAngelo. Abbiamo poi Franzoni (Presidente del Consorzio), Tognazzi, Due Pini e Maccaboni.

Chiudiamo con una curiosità: non vi è una versione ufficiale sull'origine del nome del paese di Botticino, ma il fatto che lo stemma comunale (creato quando sono state unite le tre frazioni di Botticino Sera, Botticino Mattina e San Gallo) riporta in bella mostra una botte di vino, probabilmente la dice lunga su quale sia sempre stata l’attività prevalente in questa zona.

Andrea Fontana


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