Il fascino del Pet-Nat (56)
Con la morsa del gran caldo che non accenna a diminuire, bere vino in questi giorni per qualcuno potrebbe risultare meno piacevole del previsto.
Tuttavia c’è una tipologia di vino che proprio in queste occasioni sembra andare per la maggiore e incontrare il gusto di molti consumatori: sto parlando dei cosiddetti PET-NAT.
Se non hai mai sentito questo termine, amico mio lettore, amica mia paritaria, non ti allarmare, è probabile che tu conosca già quello di cui ti sto per parlare, ma semplicemente l’hai sempre chiamato in un'altra maniera.
Metodo Ancestrale, Metodo Famigliare, Rifermentato Naturale, RIfermentato in bottiglia, Colfondo: sono tutti nomi diversi per indicare la stessa tipologia di prodotti che viene riassunto, appunto, dalla sigla Pet-Nat, abbreviazione dei termini francesi petillant naturel, vale a dire frizzante naturale.
In pratica si tratta di vini che terminano la fermentazione in bottiglia (o ne compiono una seconda parziale) e che vengono commercializzati con ancora i sedimenti dei lieviti al suo interno.
Sono infatti facilmente riconoscibili proprio per il colore più o meno torbido e la presenza dei lieviti sul fondo della bottiglia (da qui il nome Colfondo che hanno scelto i produttori di Prosecco per identificare la tipologia).
Un Pet-Nat può essere prodotto con qualsiasi tipo di uva e in qualsiasi colore: sebbene i Pet-Nat bianchi siano di gran lunga i più conosciuti, ne esistono diverse versioni anche rosa e rossi.
La loro patria di elezione è la stessa dei vini frizzanti convenzionali, vale a dire ad esempio il Veneto (Prosecco, Gambellara, Durello, Raboso, ecc.), l’Emilia (Lambrusco, Malvasia, Ortrugo, Pignoletto, ecc.) e la Lombardia (Oltrepò Pavese, Mantovano, ecc.); tuttavia visto il successo commerciale, oggi si producono Pet-Nat in praticamente tutte le regioni d’Italia con qualsiasi uva (i primi che mi vengono in mente? Avanà nel Pinerolese, Verdicchio e Sangiovese nelle Marche, Asprinio in Campania, Vermentino in Sardegna, Greco in Puglia, ecc.)
Le caratteristiche comuni principali di questi vini, oltre alle diversità date del vitigno e della tipologia di prodotto (senza entrare troppo nel tecnico, esistono diversi modi per produrli: aggiungendo al vino fatto del mosto dolce, interrompendo la fermentazione in vasca e facendola proseguire in bottiglia, ecc.) sono la moderata concentrazione alcolica (raramente superano i 12°, spesso si attestano sui 10,5° - 11°), la naturale freschezza olfattiva e gustativa (i lieviti conservati all’interno della bottiglia svolgono un’ azione antiossidante), l’acidità spinta e il rimando evidente al vitigno di origine.
Inoltre, i Pet-Nat si possono bere illimpiditi, vale a dire conservando la bottiglia in orizzontale e facendo sedimentare la maggior parte dei lieviti sul fondo (avendo cura di versare poi il vino lentamente in modo da non mescolarli); oppure agitando prima la bottiglia per rimettere in sospensione la maggior parte dei lieviti e bere così il vino torbido.
Non c’è un modo più giusto dell’altro, è esclusivamente una questione di gusto: come spesso dico, con i lieviti in sospensione, alcuni Pet-Nat sembrano l’anello di congiunzione tra il mondo del vino e quello della birra, avendo questa presenza olfattiva e gustativa preponderante di lievito e crosta di pane, e paradossalmente potrebbe essere proprio questo il segreto del loro successo.
Chiudo con una considerazione generale: il lettore più attempato probabilmente starà pensando che è la scoperta dell’acqua calda, e che questa tipologia di vino è quella che si è sempre bevuta quando lui era bambino; ed infatti è proprio così, e non a caso uno dei termini con cui vengono definiti è proprio ancestrale, cioè fatto come una volta.
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