Il punto sullo stato di salute dei vini mantovani
Ho già parlato ampiamente di Mantova e dei suoi vini in questa mia rubrica, ma all’indomani della degustazione annuale per selezionare quelli meritevoli di comparire nella guida Slow Wine 2024, voglio aggiungere qualche riflessione alle cose già scritte in passato.
Partiamo innanzitutto dai numeri, indispensabili per non incappare in considerazioni fallaci (a tal proposito, mi piace molto la frase del manager Americano Edwards Deming: “senza i dati sei solo un’altra persona con una opinione”).
Mantova è la terza provincia Lombarda come superficie vitata. Gli ultimi dati disponibili parlano di circa 1.700 ettari, a fronte dei 12.000 della provincia di Pavia e dei 6.500 della provincia di Brescia. Di conseguenza, Mantova è anche la terza provincia Lombarda come quantità di uva prodotta, con circa 260.000 quintali (la solita Pavia è a quota 1.400.000 quintali e Brescia a 700.000).
Ma uno dei dei dati che balza di più all’occhio è la resa per ettaro: mentre Pavia e Brescia quasi si equiparano (117 q.li/ha per Pavia, 112 per Brescia), Mantova svetta in questa speciale classifica con 152 quintali di uva prodotta per ettaro. In altre parole: a Mantova continua a regnare l’agricoltura intensiva a scapito della qualità. Ma approfondirò meglio questo concetto tra poco.
Come sappiamo, la Provincia di Mantova si sviluppa principalmente su tre poli produttivi: il Lambrusco Mantovano, a sua volta diviso tra Viadanese-Sabbionetano e Oltrepò Mantovano, e le Colline Moreniche, vale a dire la zona che dal basso Lago di Garda scende fino a Volta Mantovana, costeggiando il confine con il Veneto.
Bene, come dicevo in apertura, a fronte dei numeri sopracitati l’autorevole Guida per la quale degusto e scrivo ha deciso di rivolgere il proprio sguardo con maggiore attenzione ai vini Mantovani, e da un paio d’anni quindi organizzo una degustazione completa dei vini prodotti nel territorio appoggiandomi all’aiuto amichevole dell’Osteria da Diego di Canneto sull’Oglio.
Attenzione: “degustazione completa” significa che vengono degustate tutte le tipologie prodotte nelle varie zone Mantovane, non che vengono assaggiati tutti i vini prodotti nella provincia di Mantova, perché è chiaro che alla base del mio lavoro c’è una forte discriminante: la volontà delle aziende di dare i campioni dei propri vini e di sottoporsi quindi ad un giudizio esterno, maturato comparando i loro vini con quelli delle altre aziende.
Mi rendo conto che al primo pensiero, la possibilità di far assaggiare i propri vini ad un panel di degustatori che scrivono su una guida nazionale, dovrebbe essere un’opportunità da non lasciarsi sfuggire; tuttavia sono sempre più numerose le aziende che preferiscono declinare l’invito. Ad esempio, negli ultimi due anni a Mantova abbiamo assaggiato i vini di 10 aziende (l'anno scorso) e 16 aziende (quest’anno), a fronte di circa 170 realtà produttive esistenti (invero, la maggior parte di carattere commerciale/industriale, e per questo lontane dalla filosofia di Slow Food).
Tornando ai risultati veri e propri delle due degustazioni svolte finora, il quadro appare abbastanza delineato. Da un lato c’è il Lambrusco Mantovano, che ha sempre vissuto nella “gloria riflessa” dei cugini Emiliani (ti ricordo che con oltre 400 milioni di bottiglie il Lambrusco è il vino rosso Italiano maggiormente prodotto) e che fatica a sganciarsi da logiche produttive basate sui grandi numeri, sulle grandi rese e sul prezzo basso.
Tra l’altro, la differenza di stile e di tecnica tra le due aree è palese: nell’Oltrepò Mantovano si privilegiano le versioni Charmat, morbide e fruttate e con residuo zuccherino; mentre nel Sabbionetano le poche realtà significative preferiscono la rifermentazione naturale in bottiglia (il cosiddetto “metodo ancestrale”) e realizzano prodotti più “rustici”, “ruspanti”, ma forse anche più “veri”. Ebbene, se dovessi tracciare un bilancio del Lambrusco Mantovano direi che il suo essere la Cenerentola dei Lambruschi non è in discussione, ma forse questo è il suo più grande pregio, perché per risalire la china delle preferenze dei consumatori servirà necessariamente un cambio di rotta, una nuova visione, anche generazionale, e la volontà di abbracciare altre strade, fatte di rese più basse, attenzione alla sostenibilità aziendale e maggiore esaltazione del carattere varietale a dispetto del residuo zuccherino. Dall’altro lato le Colline Moreniche rimangono un ginepraio difficile da sbrogliare.
Le aziende più vicine al Veneto, sia geograficamente che idealmente, puntano sui vitigni storici della zona, come Molinara, Rondinella e Corvina tra le uve rosse, Garganega e Trebbiano di Soave tra le uve bianche. Le aziende invece più orientate verso la Lombardia privilegiano il gusto internazionale, probabilmente per sfruttare anche il grandissimo indotto commerciale che la vocazione turistica del Lago di Garda mette a disposizione.
In questo aziende regnano quindi le uve internazionali, Cabernet Sauvignon, Merlot, Chardonnay, Sauvignon, e non è raro trovare a catalogo anche un Lugana, vera icona del vicino Lago di Garda.
Quale possa essere il futuro di questo territorio e/o indovinare quale sarà il prodotto che farà da traino alla zona è una profezia che non mi sento di pronunciare. C'è chi giura che saranno i vitigni autoctoni del vicino Veneto a prevalere; c'è chi crede che solo il "Rubino" (vino rosso da uve Rondinella e qualche internazionale) debba godere di fama e considerazione; altri ancora sono convinti che i vini dolci a base di Garganega e Moscato Giallo siano il vero tesoro del territorio. Io mi limito a constatare, un po' come ho fatto per il Lambrusco Mantovano, la necessità di aprire a nuove idee, nuove filosofie produttive, nuove generazioni, per aiutare finalmente questa zona ad emergere dal torpore attuale.
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