28 maggio 2021

Il vino del santo (5)

Il nostro viaggio alla scoperta del vino ha toccato finora tre dei quattro punti cardinali a ridosso della nostra provincia. Siamo andati a sud raccontando i Colli Piacentini (PC); a nord a scoprire il Monte Netto (BS) e ad est a visitare le zone di produzione del Lambrusco Mantovano (MN).

Oggi completiamo questo nostro giro iniziale spostandoci a ovest, alla scoperta di un altro territorio minuscolo e misconosciuto, eppure ricco di storia e tradizione enologica. Quando ho raccontato, nell’articolo d’esordio di questa rubrica, che le province di Cremona e Monza Brianza erano le uniche due a non avere vini a denominazione di tutta l’Italia, l'osservazione che mi è stata fatta più di frequente è stata:”Impossibile. E Milano? E Lodi? Non dirmi che lì c'è il vino”

Ebbene sì, anche Milano e perfino Lodi hanno un vino a denominazione: il San Colombano al Lambro Doc. Siamo nella cittadina omonima, poco più di 7.000 anime, 30 km a ovest di Pizzighettone, nel crocevia fra quattro province: Cremona, Lodi, Milano e Pavia.

Qui, inaspettata e isolata, sorge la Collina di San Colombano, un’altura solitaria, appendice degli Appennini, da sempre interessata dalla viticoltura. Il comune di San Colombano deve il suo nome al famoso monaco irlandese, che nel suo viaggio verso Bobbio (dove nel 614 fondò l’Abbazia di San Colombano, tutt’ora un complesso monastico di grandissima importanza) soggiornò proprio in questo paese, che presenta ancora oggi numerose tracce del suo passaggio, dal Castello alla Chiesa Parrocchiale, sorta su un precedente oratorio, tutti intitolati al Santo Irlandese.

La storia della viticoltura sulla Collina è documentata a partire dal Sacro Romano Impero, attorno all’anno 1.000. Nel medioevo costituisce l’attività principale degli abitanti di queste zone, ma è con l'età moderna che i vini di San Colombano raggiungono il massimo prestigio, venendo citati anche nell’inchiesta agraria del 1882 del casalbuttanese Stefano Jacini come prodotti che “nulla hanno da invidiare ai colli vitati del vicino Piemonte".

I comuni che insistono sulla Collina (e appartengono alla relativa doc vinicola) sono cinque, suddivisi in tre province: San Colombano al Lambro (MI), Graffignana e Sant’Angelo Lodigiano (LO), Miradolo Terme e Inverno e Monteleone (PV).

Le uve maggiormente diffuse sono sempre state a bacca rossa, dalla Croatina alla Moradella, dall’Uva Rara alla Barbera. Il destino del vino e della Collina di San Colombano ha avuto lo stesso corso di molte zone similari: negli anni dell'industrializzazione e del boom economico abbiamo assistito al progressivo abbandono della viticoltura e oggi vi troviamo non più di 150 ettari vitati (a fronte dei 1.100 ettari del periodo a cavallo tra le due guerre mondiali) per una produzione totale che raggiunge a malapena i 2.000.000 di bottiglie.

L’azienda di riferimento del territorio è senza ombra di dubbio Banino di Antonio Panigada. Discendente di una famiglia di salumieri (se passate da quelle parti, da non perdere il salame di loro produzione), Antonio vi accoglierà nella sua cantina al centro del paese, dove vi mostrerà con passione e orgoglio la sua minuscola produzione, di grande qualità e di impressionante longevità.

Sempre in centro al paese si trova la Poderi di San Pietro, l’azienda più grossa dell'intero comprensorio. Nelle moderne cantine ricavate nell’antica sede del Consorzio Agrario, vengono raccolte e lavorate le uve dei 60 ettari di proprietà, che danno vita ad una gamma di etichette completa e rassicurante. Ci spostiamo infine all'interno del colle, dove attorniata da vigneti troviamo Nettare dei Santi, l’azienda della famiglia Riccardi. Il giovane GianEnrico Riccardi, nipote del Franco Riccardi, schermidore vincitore di 4 ori olimpici, tra Amsterdam, Los Angeles e Berlino (1928-1936), e fondatore della cantina, conduce con competenza una delle aziende più storiche del territorio, interprete di numerose etichette dall’ottimo rapporto qualità-prezzo.

Andrea Fontana


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