21 gennaio 2022

Il vino e la leggenda degli uomini straordinari (33)

Le recenti festività Natalizie sono state caratterizzate, nel mondo del vino Italiano, e più specificatamente di quello Lombardo, dalla scomparsa di due veri e propri “pezzi da 90”, e mi scusi l'amico mio lettore, l’amica mia paritaria, l’orribile gioco di parole: Franco Ziliani, mancato il giorno di Natale, e Lino Maga, scomparso invece il 1° gennaio. Non risulti irrispettoso l’aver messo vicino questi due grandi personaggi, coetanei e così diversi: entrambi classe 1931 (e quindi novantenni), hanno percorso strade diametralmente opposte, per certi versi inconciliabili; enologo, tecnico e imprenditore il primo; vignaiolo e contadino schivo e riservato il secondo.

Ma andiamo con ordine.

Franco Ziliani, figlio di commercianti di bevande di Paratico (BS), si appassiona da giovane alla materia e percorre gli studi tecnici alla prestigiosa Scuola Enologica di Alba. La sua vita cambia in un imprecisato lunedì mattina dell’inverno 1955-1956 al mercato di Rovato, quando un amico mediatore di vino gli presenta il Conte Guido Berlucchi, erede della nobile famiglia Lana de’ Terzi di Borgonato, che qualche settimana prima aveva confidato proprio al Lisander (soprannome del mediatore) di avere problemi di stabilità con il suo Pinot del Castello, vino bianco fermo prodotto con le uve bianche coltivate attorno al Castello di Borgonato. Franco Ziliani all'epoca è un giovane irrequieto con un sogno nel cassetto: destinato a rilevare l’attività di famiglia e a trascorrere la vita a commerciare vino sfuso per il consumo domestico degli abitanti dei paesi limitrofi, il Natale precedente ha assaggiato due bottiglie di Champagne Heidsieck Monopole stappate a cena da suo padre, e se ne è innamorato. Vorrebbe tanto provare anche a lui a realizzare un vino spumante metodo classico (allora chiamato “champenoise”) <sullo stile di quelli francesi>, ma servono strutture, tecnologie di cantina, spazi, risorse economiche e, naturalmente, uva. Tutte cose che lui non ha, ma che ritrova nello splendido Palazzo Lana dove il Conte Guido Berlucchi lo accoglie qualche giorno dopo, sulle note di “Georgia on my mind” suonate proprio dal nobiluomo al pianoforte. Dopo aver visitato i vigneti e le cantine, ed essersi accordati per un successivo incontro, Franco Ziliani azzarda un <e se facessimo anche un vino spumante?>. È l’inizio di tutto. Dopo alcuni anni di prove nel 1961 vengono messe in rifermentazione le prime 3.300 bottiglie di “Pinot di Franciacorta” che, stappate l’anno successivo, si rivelano buonissime. Franco Ziliani, Guido Berlucchi e l’amico assicuratore Giorgio Lanciani fondano la Guido Berlucchi & C. che in breve tempo arriva a produrre un numero di bottiglie sempre più consistenti.

Nel frattempo nel 1967 il nome Franciacorta ottiene la DOC e diventa così il termine unico che contraddistingue lo spumante metodo classico prodotto in questa zona. La storia della Guido Berlucchi & C. è un susseguirsi di successi e grandi numeri, fino alle attuali 5 milioni di bottiglie prodotte. Nel 2000 il Conte Guido Berlucchi, vedovo e senza figli, viene sconfitto dalla malattia e le sue quote dell’azienda vanno alla fondazione benefica da lui fondata, che si occupa di ricerca sul cancro, e che detiene il 30% delle quote societarie fino al 2016, quando le cede alla finanziaria presieduta proprio da Franco Ziliani, che diventa così l’unico proprietario dell’azienda assieme alla sua famiglia.

Il sogno di quel giovane enologo si è così ampiamente realizzato, forse oltre ogni sua più rosea aspettativa, e il suo contributo alla nascita e all’affermazione della più importante zona spumantistica italiana è indiscutibile. E per capire la persona, uno degli ultimi aneddoti della sua vita lo raccontano meglio di mille parole: nel 2017 decide di lasciare finalmente la titolarità dell’azienda ai tre figli Cristina, Arturo e Paolo; ma siccome vendergli una cosa che, di fatto, era già loro non era elegante, come ultimo atto da Amministratore Delegato richiede un prestito bancario dello stesso importo del valore dell’azienda, che i tre figli dovranno quindi onorare: <l’ho fatto perchè quando si possiede un’azienda la si amministra con più attenzione. Ora controllano ogni piccola spesa, Non vengono più a Milano con l’autista, guidano loro.> dirà qualche mese più tardi Franco Ziliani in un’intervista al Corriere della Sera.

Spostiamoci di un centinaio abbondante di chilometri e ricordiamo adesso la figura mitica e austera di Lino Maga, vignaiolo tra i più emblematici dell’Oltrepò Pavese, che ha percorso una vita diametralmente opposta a quella appena raccontata di Franco Ziliani.

Contadino figlio di contadini, Lino Maga raccontava sempre di aver fatto la sua <prima vendemmia a 6 anni> ed essersi innamorato di quel duro mestiere. La sua storia è strettamente legata a doppio filo ad altri personaggi mitici degli albori del vino di qualità italiano, come Luigi Veronelli e Gianni Brera, al suo fianco nella battaglia legale durata oltre 20 anni, per rivendicare l’esclusività del termine Barbacarlo, soprannome di un suo zio Carlo e nome assegnato prima ad un vino e successivamente all’intera collina che coincide con la vigna che lo genera. Dalla fine degli anni ‘60 alla metà degli anni ‘80 combatte infinite diatribe legali <io non ho mai denunciato nessuno -dirà in più interviste- mi sono sempre e solo difeso; io voglio bene a tutti, anche ai nemici che ora fingono di essermi amici>.

Il mantra della sua vita è sempre stato la difesa del vino contadino contro l’omologazione del vino industriale, e ha passato l’intera vita a caldeggiare anche in Italia l’obbligo di indicazione in etichetta della dicitura di chi fa il vino: <In Francia esiste dal 1866, in Italia non ci siamo ancora arrivati. Propriétaire, négociant, industrial: sulle bottiglie di vino francese capisci subito chi ha fatto il vino, e la scelta del consumatore è così consapevole>. Un altro “bersaglio” della sua critica, sempre educata, detta a voce bassa e timida con l’immancabile sigaretta in bocca, erano gli enologi: <che vanno contro natura. Non è il vino che cambia, è la natura che cambia. La natura decide l’andamento climatico, la vigna segue l’andamento climatico e il vino è sempre diverso, ogni anno. Io stimo l’enologo, ma quando l’enologo fa il vino uguale tutti gli anni significa che va contro natura>. Ed il suo mitico Barbacarlo è proprio così: diverso ogni anno. Un anno frizzante e un anno fermo. Un anno dolce e uno secco. Un anno tannico e asciutto e un anno morbido e fruttato. Un vino dotato di longevità straordinaria, amato e odiato allo stesso tempo, osannato dai suoi estimatori grazie alla sua irregolarità e criticato dai suoi detrattori proprio a causa di questa irregolarità.

La sua cantina/bottega si trova in centro a Broni, dove Lino trascorreva le sue giornate quando non era in vigna a lavorare la terra. Lì, decideva a sua discrezione chi accogliere e intrattenere con il suo eloquio saggio e denso di aneddoti e ricordi. E così è stato anche per me, ormai una decina di anni fa, quando decisi di tentare la sorte bussando alla sua porta. Era un giovedì pomeriggio di fine primavera e Lino Maga, completamente avvolto dalla penombra della sua bottega a luci spente, mi rivolse un cenno con la testa da dietro la porta a vetri, come a dire “cosa vuoi?”. Io alzando la voce oltre misura biascicai un poco convinto “sono un ristoratore di Cremona...” e lui rispose ripetendo ancora lo stesso cenno con la testa. Io riprovai un “sono un degustatore che scrive sulla guida Slow Wine...” ma la sua reazione fu la stessa del precedente tentativo. Ormai completamente scoraggiato mi giocai il jolly “sono un allievo di Luigi Veronelli, ho studiato da lui a Bergamo...” Magicamente la sua porta si aprì e passai le successive due ore ad ascoltare rapito la sua voce profonda, resa roca dai tre pacchetti di sigarette che fumava ogni giorno. L’aneddoto più curioso che mi raccontò fu quello della telefonata di qualche anno prima del Segretario Generale del Quirinale, che lo informava della predilezione del Presidente della Repubblica (che se non ricordo male era all’epoca Carlo Azeglio Ciampi) per il suo vino, “di cui avrebbe gradito ricevere tre casse.” Lino Maga gliele spedì, ma qualche giorno dopo lo stesso Segretario gli telefonò allarmato e su tutte le furie: Lino Maga aveva effettuato la spedizione in Contrassegno, vale a dire con l'obbligo di pagamento allo scarico della merce. “Ma lei non si fida del Presidente della Repubblica?” furono le parole sconcertate del Quirinale, alle quali Lino Maga rispose <quello è il metodo di pagamento previsto per i nuovi clienti, e io non vi conosco>. Lino Maga era questo: un contadino d’altri tempo figlio della sua terra, che amava più di ogni cosa, alla quale ha dedicato tutta la sua vita <difficile e bella>. Proprio come le sue bottiglie.

Andrea Fontana


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