4 giugno 2021

La selva lucana (6)

La bella stagione è finalmente arrivata, e con essa la voglia di gustare un buon bicchiere di fresco vino bianco. E allora non possiamo che constatare una certezza: siamo in Lombardia, e negli ultimi anni, in qualsiasi osteria che si rispetti, se chiedi un calice di vino bianco locale, ti rispondono: Lugana.

Nonostante la sua storia sia molto antica, è da un paio di lustri che il Lugana ha avuto un exploit repentino e significativo, sia qualitativo che quantitativo. Ma andiamo con ordine.

Il vino bianco Lugana viene prodotto in cinque comuni rivieraschi della parte meridionale del Lago di Garda, suddivisi in due province e altrettante regioni: Lonato, Desenzano, Pozzolengo e Sirmione in provincia di Brescia (Lombardia); Peschiera in provincia di Verona (Veneto).

L’origine del nome pare derivi dalla Selva Lucana che caratterizzava questa zona prima della bonifica agraria della Serenissima Repubblica di Venezia avviata nel Quattrocento, che la trasformò in una terra ricca e fertile.

Fra le tante varietà di uve e tipologie di coltivazioni che sono state introdotte, il Trebbiano di Lugana negli ultimi anni ha preso il sopravvento su tutte, mettendo in ombra anche altri vitigni di maggior storicità (penso ad esempio al Tocai di San Martino della Battaglia, ma questa è un’altra storia che vedremo in uno dei prossimi articoli). Ho parlato di Trebbiano di Lugana, ma su esso va fatta una doverosa precisazione: in passato si è sempre pensato che questo vitigno appartenesse alla numerosa famiglia dei trebbiani (che comprende, ad esempio, il Trebbiano Toscano e il Trebbiano d’Abruzzo), ma poi ad inizio degli anni ‘90 autorevoli ampelografi del calibro di Calò, Costacurta, Cancellier e Forti hanno sentenziato che quello che fino ad allora era stato classificato come Trebbiano di Lugana (o Trebbiano di Soave), in realtà era del tutto assimilabile al vitigno marchigiano Verdicchio.

E nonostante il Consorzio Tutela Lugana si sia da subito adoperato per trovare un nome nuovo ed univoco al proprio vitigno (individuato in Turbiana), ancora oggi questo cambiamento deve essere completamente accettato e digerito da molte aziende e tanti viticoltori. Ma lasciando da parte queste elucubrazioni che probabilmente affascinano solo noi addetti ai lavori, va ricordato che il Lugana deve tutto il suo successo al particolare terreno che ospita i vigneti: di natura morenica, è caratterizzato da strati di argilla bianca e sedimenti calcarei, che donano al vino straordinarie caratteristiche di mineralità, freschezza, sapidità e struttura. Si, struttura. Lo ricordava già negli anni ‘70 il maestro di tutta la critica enologica italiana Gino Veronelli: «Bevi il tuo Lugana giovane, giovanissimo e godrai della sua freschezza. Bevilo di due o tre anni e ne godrai la completezza. Bevilo decenne, sarai stupefatto dalla completa autorevolezza». Ed è proprio così: sebbene larghissima parte del mercato identifichi il Lugana solamente come un vino bianco da consumare in gioventù, sono ormai numerosissime le interpretazioni che dimostrano l’ottima capacità di invecchiamento ed evoluzione di questo vino. La sua caratteristica organolettica sta tutta in questa duplice veste: sapido e minerale, piacevolmente morbido e fruttato in gioventù; ma che acquista piacevoli note iodate, idrocarburiche e salmastre con l’invecchiamento, che lo rendono uno dei vini bianchi più interessanti dell'intera penisola.

Come citavo in apertura, i numeri del fenomeno Lugana lo raccontano esaurientemente: quasi 2.000 ettari vitati (l’80% in territorio bresciano) danno origine a poco meno di 20 milioni di bottiglie, curiosamente commercializzate per il 60% da aziende veronesi. Un buon numero di queste bottiglie viene consumato in loco, dai numerosi turisti italiani e stranieri che in estate affollano le sponde del gettonatissimo lago di Garda. Non di meno, grande importanza ha il mercato Nord Europeo, composto dagli stessi turisti che, assaporato il vino qui in Italia, lo richiedono anche una volta ritornati in patria, contribuendo così all'affermazione, che si sentiva spesso dire in passato, di “vino per tedeschi” (e non era propriamente un complimento).

Le aziende virtuose sono molte e tutte importanti e significative, ne citerò solo qualcuna per brevità. Come sempre, partiamo dalla nostra provincia e ci dirigiamo in zona. Il primo comune che incontriamo è Lonato, dove troviamo Perla del Garda della famiglia Prandini, importante e moderna azienda (gustosissimo il Lugana Superiore Madonna della Scoperta). Pochi chilometri e arriviamo a Selva Capuzza, in comune di Desenzano, splendido agriturismo con camere e ristorante, gestito da Luca Formentini, jazzista prestato al mondo del vino, che ci delizia con un ottimo calice di Lugana Riserva Menasasso.

Proseguiamo in direzione Pozzolengo, nel cuore della zona storica, e dopo un rapido saluto a Massimo Conti di Cantina Ceresa (ottimo il suo Lugana Spumante Andrea) siamo accolti da Brunello (campione nel rapporto qualità-prezzo con il Lugana Etichetta Nera) e Tenuta Roveglia (imperdibile il Lugana Limne). Da qui, andiamo verso Sirmione dove è d’obbligo una tappa da Ca’ dei Frati, l’azienda di riferimento del territorio (iconico il suo Lugana Brolettino), per poi ritornare sui nostri passi verso la Rovizza, altro cru storico del territorio, dove ci fermiamo a conversare con il bravo Alessandro Cutolo di Marangona (eccellente il Lugana Superiore Tre Campane) e con Ambra Tiraboschi di Ca’ Lojera, che oltre al Lugana Riserva del Lupo, ogni anno ci delizia con alcune bottiglie di vecchie annate (attualmente in commercio la 2001) che dimostrano l’eccellente capacità di invecchiamento delle bottiglie di quest’area.

Ci concediamo l’ultima deviazione a San Benedetto, in comune di Peschiera, dove ha sede l’azienda Sergio Zenato, che è stata tra le prime a credere e puntare su questo vino, con la celebrata etichetta Lugana Santa Cristina.

Andrea Fontana


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