La stagione dei rosa (54)
Se c’è una categoria di vini che risente in maniera determinante dell’andamento stagionale, questa è la categoria dei vini rosa.
Sdoganate infatti le bollicine, che dallo storico posizionamento solo ed esclusivamente durante le festività, oggi sono universalmente consumate anche durante il resto dell’anno, spesso a pasto, quasi sempre all’aperitivo; sono rimasti solo i vini rosa a non avere ancora raggiunto la consacrazione commerciale cui aspirano.
I perché sono probabilmente tanti, e non tutti noti. Il primo che mi viene in mente è il nome.
I vini rossi sono vini rossi. I vini bianchi sono vini bianchi. Gli spumanti, che hanno parecchie tipologie, sono rispettivamente Champagne, Franciacorta, Prosecco, ecc.
Ma i vini rosa come si chiamano?
In alcune zone Chiaretto, in altre Rosato, in altre Cerasuolo, in altre ancora Rosé e via discorrendo.
Per ovviare a questa confusione, qualche anno fa le sei principali zone di produzione italiane si sono associate e hanno creato Rosa Autoctono - L’Istituto del Vino Rosa Autoctono Italiano.
Già dal nome si evince che l’obiettivo è quello di riunire sotto la parola “Rosa” le varie tipologie, a partire dalle sei produzioni nazionali principali: Bardolino Chiaretto, Valtènesi Chiaretto, Cerasuolo d’Abruzzo, Castel del Monte Rosato, Salice Salentino Rosato, Cirò Rosato.
Ma a parte il nome, probabilmente la lacuna maggiore riguarda la percezione negativa delle persone rispetto alle produzioni rosate di qualche anno fa. Percezione negativa che i produttori in passato hanno contribuito sensibilmente a creare.
Troppe volte in passato, infatti, i vini rosa erano ritenuti di “completamento di gamma” dagli stessi produttori, e perciò realizzati utilizzando magari le vigne più giovani, oppure i grappoli scartati sulla pigiadiraspatrice, ecc.
Tuttavia, negli ultimi anni, come abbiamo appena visto, alcune zone hanno proprio deciso di diventare dei punti di riferimento per questa categoria di vini, elevando il
vino rosa a prodotto simbolo dei rispettivi territori, per dargli dignità e considerazione.
Ma come sono prodotti questi vini rosa?
Iniziamo col fugare subito un’errata convinzione: un vino rosa non è un misto di vino bianco e vino rosso. Potrà sembrare un’ovvietà, ma in tanti ancora la pensano così.
Tecnicamente un vino rosa è un vino ottenuto da uve rosse che, dopo una brevissima macerazione del mosto sulle bucce (poche ore, in alcuni casi al massimo uno notte) subiscono una vinificazione “in bianco”, cioè in assenza delle bucce, che sono le principali protagoniste della colorazione dei vini rossi.
Ma cosa cambia, in concreto, rispetto ad una vinificazione “in rosso”?
Non svolgendo la fermentazione alcolica a contatto con le bucce, i vini rosa mancano di due componenti principali dei vini rossi: gli antociani (i coloranti rossi) e soprattutto i tannini, sostanze fondamentali per la maturazione e l’equilibrio dei vini rossi.
Ne deriva così che i vini rosa sono spesso associati ai vini bianchi: si bevono freschi di temperatura, hanno una grande componente fruttata e una spiccata acidità, tutte caratteristiche che contraddistinguono, appunto, i vini bianchi, e che quindi contribuiscono a relegare il loro consumo nella stagione estiva o in particolari abbinamenti gastronomici (con verdure, pesce, ecc.).
Qualche produttore sta, negli ultimi anni, sperimentando tecniche vinicole di solito riservate ai vini rossi, anche nella produzione dei vini rosa, quali, ad esempio, maturazioni in anfora oppure in legno, lunghi affinamenti, messa in commercio dopo qualche anno dalla vendemmia, ecc.
Se questo contribuirà ad elevare i vini rosa a categoria con una propria dignità e collocazione ben precisa, non mi è dato saperlo.
L’augurio è che in futuro anche i vini rosa possano godere di apprezzamento e successo commerciale, e risultare così una scelta principale e non solamente un ripiego quando non si sa se bere un vino bianco o un vino rosso.
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