18 novembre 2022

La storia di Roma e del suo vino (66)

C’era una volta una Regione famosa soprattutto per ospitare la Capitale d’Italia: Roma. In questa regione, dal passato glorioso e ricco di storia, tutto verteva attorno alla Città Eterna, e anche la produzione vinicola non faceva eccezione. La Storia dell’Antica Roma, d’altronde, racconta che è grazie all'espansione e all’influenza dell’Impero Romano che la viticoltura si è insediata in tutta l’Europa conquistata dalle milizie romane.

Non possiamo poi tralasciare la grande importanza dello Stato Pontificio e della Chiesa Cattolica, che adottando il vino in pressoché tutte le proprie funzioni religiose, è sempre stato da stimolo per mantenere e consolidare la produzione vinicola in ogni zona che veniva convertita al Cristianesimo.

A fronte di tutte queste premesse, la viticoltura laziale ha vissuto i primi decenni dell’affermazione della produzione vinicola commerciale (ricordo che la legge quadro che istituisce le denominazioni in Italia è del 1963) in una sorta di “sonnolenza” imprenditoriale e produttiva, limitandosi a garantire grandi quantità di vino ma di scarsa qualità. Non è un mistero che, fino a pochi anni fa, uno dei vini Italiani più prodotti e conosciuti in tutto il mondo, era non indimenticabile “Marino Bianco Gotto d’Oro” dell’omonima cantina sociale nei Castelli Romani, commercializzato nella famosa “Dama” da 5 litri.

Negli ultimi due decenni, tuttavia, a causa delle ben note condizioni economico-sociali (forte contrazione dei consumi, soprattutto in ambito domestico; maggior attenzione e richiesta di qualità del consumo “fuori casa”; globalizzazione del mercato enologico, ecc.), anche il Lazio, come molto altre regioni Italiane, sta attraversando un periodo di fermento enologico e di rinascita verso la viticoltura di qualità.

Ad oggi la produzione vinicola si attesta su circa 1.500.000 di ettolitri, suddivisi nelle 3 DOCG, 27 DOC e 6 IGT presenti sul territorio Regionale.

In ordine di importanza, l’uva e la zona che negli ultimi anni hanno tracciato la rinascita enologica Laziale sono il Cesanese del Piglio, di Affile e di Olevano Romano nella Ciociaria, che possiamo grossolanamente geolocalizzare nella parte sud-est della Regione, tra Roma e Frosinone. Questo vitigno rosso autoctono ha dimostrato di dare vita a vini significativi e di ottima capacità di invecchiamento, tanto da fare da traino all’intero comparto Regionale.

Poco più a ovest, proprio sotto la Capitale, troviamo l’enorme serbatoio storico della viticoltura Laziale, i famosi Castelli Romani, dove spicca il Frascati, ancora oggi il vino più prodotto nel Lazio. E’ questa l’area più storica e conosciuta della viticoltura laziale, e paradossalmente questa storicità è ancora oggi il freno che impedisce alla zona, e alla denominazione Frascati in particolare, di uscire dalla logica produttiva dei grandi numeri e della semplice correttezza enologica.

La provincia di Latina, nel sud-ovest della Regione, è invece l’esatto opposto: quasi assente in passato sui radar della produzione viticola, negli ultimi anni sta dimostrando un fermento e una crescita qualitativa di tutto rispetto, e anche se non ancora numericamente importante, sembra possa essere il traino della rinascita enologica laziale. Le piccole denominazioni che fanno ben sperare per il futuro si chiamano Cori (con l’uva rossa Nero Buono e l’uva bianca Bellone a fare da apripista), Aprilia e Velletri. Non trascurabile, ma numericamente ancora poco significativa, anche la produzione che gravita attorno al comune di Terracina, a base di Moscato d’Alessandria (il famoso Zibibbo di Pantelleria).

Passando al Nord della regione, troviamo forse le denominazioni più storiche ma, anche in questo caso, quelle meno intraprendenti. Abbiamo così, nella Tuscia e nel Viterbese, l’Orvieto e l’Est!Est!!Est!!! di Montefiascone, i due bianchi storici Laziali (dopo il Frascati, naturalmente), affiancati dall’Aleatico di Gradoli e dal Viganello.

Due parole per raccontare la storia dell’Est!Est!!Est!!!, sempre affascinante: la leggenda vuole che nel 1111 Enrico V di Germania stava raggiungendo Roma con il suo esercito per ricevere dal papa Pasquale II la corona di Imperatore del Sacro Romano Impero.

Al suo seguito si trovava anche un vescovo, Johannes Defuk, grande appassionato di vini. Egli, durante i suoi viaggi, mandava sempre in avanscoperta un suo servitore, di nome Martino, con l'incarico di trovare lungo il percorso le taverne che servivano il miglior vino, per fermarsi a ristorarsi e a dormire. Questi luoghi venivano contrassegnati dal servitore con la scritta latina “est” sul muro accanto alla porta (in Italiano: c’è). La storia narra che, una volta giunto a Montefiascone, Martino trovò il vino locale talmente buono che scrisse letteralmente "Est! Est!! Est!!!", rispettivamente con uno, due e tre punti esclamativi. e ancora oggi la denominazione ufficiale va scritta così.

Il seguito della leggenda narra che il vescovo si innamorò anch’esso di questo vino, tanto che al termine della missione imperiale si stabilì definitivamente a Montefiascone e vi restò fino alla sua morte (avvenuta, pare, per un eccesso di bevute). Fu sepolto nella chiesa di San Flaviano, dove ancora oggi si può leggere, sulla lapide, l'iscrizione: «Per il troppo Est! qui giace morto Johannes Defuk».

In riconoscenza dell'ospitalità ricevuta, il vescovo lasciò alla cittadinanza di Montefiascone un'eredità di 24.000 scudi, a condizione che ad ogni anniversario della sua morte una botticella di vino venisse versata sul sepolcro, tradizione che venne ripetuta per diversi secoli. Al vescovo è ancora dedicato un corteo storico con personaggi in costume d'epoca, che fanno rivivere questa leggenda.

Ritorniamo ai giorni nostri, e terminiamo questo breve excursus sui vini laziali con la provincia fanalino di coda della produzione regionale, quella di Rieti, che annovera solamente una minuscola quota della DOC Colli della Sabina.

Andrea Fontana


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