11 febbraio 2022

La viticoltura biologica (36)

La settimana scorsa abbiamo visto sommariamente cos'è e come si è affermato il cosiddetto vino convenzionale. Vino che, sia beninteso, è ancora oggi il traino di tutto il comparto economico che gravita attorno alla bevanda di Bacco; non solo i produttori, quindi, ma anche tutto l’indotto: chi fabbrica e vende bottiglie, etichette, tappi, cartoni di imballaggio, spedizionieri, produttori di macchine per la viticoltura, produttori di attrezzature enologiche, di vasche di fermentazione e di stoccaggio, il comparto edile che costruisce le cantine, i terzisti che offrono lavori agronomici, i vivaisti che riproducono le barbatelle, ecc.

La repentina crescita della qualità dei vini ha portato quindi un grande beneficio, sia al già citato comparto economico che agisce nel mondo dell’enologia, sia soprattutto ai consumatori, che nel giro di pochi anni hanno visto moltiplicarsi in maniera esponenziale le etichette di qualità e di facile reperibilità presenti sul mercato.

E proprio il fenomeno dell’aumento delle realtà produttive (e delle zone di produzione) ha spinto la stragrande maggioranza dei produttori ad adottare tecniche, sia culturali che enologiche, atte a produrre vini che incontrassero il gusto del maggior numero di potenziali clienti. In altre parole, se è vero che il vino è una materia viva, e ogni vino è per propria natura diverso da un altro (e diverso per ogni annata), è altrettanto innegabile che utilizzando sempre e in ogni zona più o meno gli stessi accorgimenti (tipo di clone del vitigno; stesso sistema di allevamento e di densità per ettaro, stessi lieviti selezionati, stesso legno per le botti di affinamento, ecc.) si ottengono prodotti molto simili e dal gusto omologato.

Queste scelte, che per molti anni hanno premiato i produttori che le hanno attuate, permettendogli di allargare sensibilmente i propri mercati (e che spesso hanno indotto produttori a impiantare nuovi vigneti anche in zone non necessariamente così vocate alla coltivazione della vite, ma questo è un altro discorso) sono negli ultimi anni state messe in discussione da una fetta sempre più consistente di mercato, desiderosa di prodotti nuovi che si staccassero dall’omologazione dilagante dalla grande industria enologica,

A questa richiesta di un mercato finalmente maturo, va inoltre associata la maggior sensibilità di molti produttori “illuminati”, che hanno in breve tempo capito come l’utilizzo di molte delle più comuni pratiche agronomiche (prodotti di sintesi per la concimazione e diserbo chimico su tutti) avevano un effetto negativo sulla fertilità del suolo, sull’equilibrio della terra e sull’intero ecosistema naturale.

Questi due fattori, il fattore economico-commerciale e quello sensibile-ambientale, hanno spinto numerosi produttori a rivolgere la loro attenzione verso un modo di produrre meno invasivo, più attento alle peculiarità di ogni singolo vitigno e ogni singolo vigneto; riscoprendo e adattando alle nuove conoscenze tecnologiche antiche pratiche produttive; mettendo al bando (ove possibile) ogni intervento esterno all’ecosistema naturale, sia esso l’utilizzo di prodotti di sintesi (diserbanti, fertilizzanti, ecc.) o anche naturali (ad esempio l’utilizzo del verde-rame o dello zinco).

Il primo fenomeno agricolo a cui si è assistito è stato quindi la nascita dell’agricoltura biologica, a cui è seguita dopo molti anni anche una disciplina di enologia biologica, che ha portato finalmente nel 2012 alla nascita del vino biologico (prima di questa data si poteva parlare -e scrivere- solamente di “vino prodotto da agricoltura biologica”, e anche se sembra sottile la differenza esiste, ed è pure importante).

Ma andiamo con ordine. L'agricoltura biologica è un tipo di agricoltura che considera l'intero ecosistema agricolo, sfrutta la naturale fertilità del suolo favorendola con interventi limitati, promuove la biodiversità dell'ambiente ed esclude l'utilizzo di prodotti di sintesi (salvo quelli specificatamente ammessi dal regolamento comunitario) e organismi geneticamente modificati.

La filosofia dietro a questo diverso modo di coltivare le piante (e allevare gli animali) non è unicamente legata all'intenzione di offrire prodotti senza residui di fitofarmaci o concimi chimici di sintesi, ma anche (se non di più) alla fondata volontà di non determinare nell'ambiente impatti negativi a livello di inquinamento di acque, terreni e aria.

Nella pratica biologica sono centrali soprattutto gli aspetti agronomici: mantenere, e se possibile migliorare, la fertilità del terreno; proteggere le coltivazioni dagli attacchi dei microrganismi con preparati vegetali, minerali e animali che non siano di sintesi chimica (tranne alcuni prodotti considerati tradizionali, come ad esempio la “poltiglia bordolese”); difendere le piante dalle altre erbe spontanee privilegiando espedienti naturali.

Scendendo nello specifico nell’allevamento della vite, produrre un vino biologico significa, soprattutto impiegare prodotti naturali nella difesa del vigneto (insetti, funghi e microrganismi antagonisti come fitofarmaci; sfalcio e lavorazione meccanica del terreno come sistema di diserbo). In cantina, invece, non esistono moltissime differenze tra un vino prodotto con pratiche convenzionali o agricoltura biologica, fatta eccezione per l'obbligo di utilizzare esclusivamente preparati e additivi enologici di origine biologica; e per la quantità massima di solfiti presenti nel vino, che sono inferiori rispetto ai vini convenzionali (100 contro i 160 mg/l per i vini rossi, 150 contro i 210 per quelli bianchi).

Ok, tutto bello e tutto giusto. Ma nel bicchiere, c’è differenza?

Oggi possiamo tranquillamente affermare di no, e in buona sostanza, tra un vino prodotto con agricoltura biologica o convenzionale la scelta è più di natura etica che non organolettica o qualitativa. Soprattutto perché va ricordato che anche i più grandi produttori convenzionali hanno drasticamente ridotto l’utilizzo di prodotti chimici e di sintesi, se non per convinzione, almeno per convenienza: ogni cosa in più che si utilizza ha un costo, e meno costi si hanno più si guadagna.

Ma è così per tutti i modi di produrre vino? Le caratteristiche organolettiche sono uguali per tutti? No, e la settimana prossima lo vedremo meglio.

Andrea Fontana


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