17 settembre 2021

Si fa presto a dire Malvasia (19)

Oggi vi racconto una storia, e come le migliori favole non può che iniziare in un modo: c’era una volta una Repubblica marinara, potente e rispettata, che all’apice della sua espansione governava mezzo Mar Mediterraneo. L’Istria, la Dalmazia, il Montenegro e l’Albania, il Peloponneso, Creta, Cipro e molte altre isole greche e porti del Mediterraneo Orientale. Il suo nome è Venezia, e tra il XIII e il XVI secolo la sua potenza economica, marittima e commerciale non aveva eguali.

Tra le tante attività in cui spiccavano i commercianti veneziani vi era il commercio del vino, di cui Venezia ebbe praticamente il monopolio per un paio di secoli. Il vino che fece la fortuna delle mude (i convogli di navi mercantili Veneziane) era un vino bianco, moderatamente alcolico, molto profumato e tendenzialmente dolce, prodotto nei dintorni della città greca di Monemvasia (che in greco antico significa “porto con una sola entrata”), antico e tuttora esistente porto nell'estremo oriente del Peloponneso.

A partire dal 1300 il vino Malvasia (italianizzazione del termine greco Monenvasia) partiva da Venezia per le principali capitali Europee, in Inghilterra, Spagna, Francia, Portogallo, ecc. Il suo successo fu tale che ben presto la produzione originaria greca non fu più in grado di soddisfare le richieste, e gli scaltri commercianti Veneziani iniziarono a cercare vino simile in molte altre zone di produzione del Mediterraneo, come Malta, Creta, ma anche lo stesso Sud Italia, Puglia in primis. Ma invece di commercializzare questi vini con i nomi originari, con un abile e primordiale operazione di marketing, essi lo vendettero sempre con il nome di Malvasia, creando il primo caso di brand positioning della Storia, ma al tempo stesso alimentando confusione ed equivoci ancora esistenti.

Mi spiego brevemente: nel Catalogo Nazionale delle Varietà di Vite sono iscritti 19 vitigni diversi con il nome di Malvasia. Questo nome deriva proprio dal fatto che in passato queste uve sono state utilizzate per produrre il vino che i commercianti Veneziani chiamavano Malvasia ma, come abbiamo visto poc’anzi, quasi sempre non avevano nulla in comune, né l’origine né tantomeno le caratteristiche ampelografiche. Per questo motivo, oggi, se beviamo un calice di Malvasia Puntinata del Lazio, di Malvasia Istriana del Friuli o di Malvasia di Candia Aromatica piacentina, beviamo tre vini completamente diversi. E questa incertezza e confusione è sicuramente uno dei motivi (non il solo, sia chiaro) che ha impedito a tutti questi prodotti di avere oggi il successo commerciale e produttivo che meritano.

Ma finalmente qualcosa si sta muovendo e, venendo alle zone che interessano noi Cremonesi, da qualche anno è in corso una rinascita produttiva e un serio dibattito istituzionale su come valorizzare e promuovere la Malvasia di Candia Aromatica dei Colli Piacentini, l'unica varietà aromatica tra le 19 iscritte al Registro Nazionale della vite, e a parere di chi scrive il vero patrimonio ampelografico esclusivo piacentino, nonostante ogni anno gli ettari a dimora siano sempre meno.

Proprio mentre scrivo queste righe, il rifondato Consorzio Tutela Vini DOC Colli Piacentini sta portando avanti un importante progetto di ridefinizione del ruolo della Malvasia di Candia Aromatica all’interno della legislazione vinicola piacentina, in modo da potergli dare finalmente il ruolo importante e centrale che da tempo ci si auspica. Vedremo come procederanno le cose e se il comitato tecnico scientifico del Consorzio, che sta portando avanti questo progetto, riuscirà a convincere tutti e 150 i produttori piacentini sull’importanza di questo lavoro. Io nel mio piccolo continuerò a seguire gli eventi e vi terrò sicuramente aggiornati, magari sorseggiando nel frattempo un ottimo calice di Malvasia di Candia Aromatica.

Andrea Fontana


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