25 agosto 2023

Vendemmia 2023: sarà veramente ingloriosa?

E’ cominciata da poco meno di un mese la vendemmia 2023 e già le previsioni parlano di una catastrofe annunciata.

Secondo le stime della Coldiretti, infatti, questa vendemmia ci vedrà scendere, dopo parecchi anni, al secondo gradino del podio come quantità di vino prodotta, scavalcati in cima dalla Francia.

Il terzo posto, per dovere di cronaca, è occupato da sempre dalla Spagna.

Ma torniamo a noi.

Dicevamo che per la vendemmia 2023 si stima un calo nazionale del 14%, che la colloca tra le peggiori vendemmie degli ultimi cento anni, assieme a 1948, 2007 e 2017. Naturalmente la situazione non è omogenea, e ci sono enormi disparità tra le varie regioni e zone d’Italia.

Il perché di questo calo è dovuto a molteplici fattori, prevalentemente climatici, tra disastrosi episodi di maltempo e anomale ondate di calore.

Al sud si registra la situazione peggiore: le frequenti piogge della tarda primavera hanno provocato violenti attacchi di peronospora, aggravati dalla siccità successiva, e tra Sicilia e Puglia (che normalmente rappresentano da sole quasi il 20% del vino Italiano) si registrano cali di produzione attorno al 40%. In Abruzzo e in Molise la situazione, se possibile, è anche peggiore, con un calo stimato del 60% dell’uva prodotta (ma è chiaro che queste due regioni hanno un peso minore sul bilancio nazionale).

Spostandoci verso Nord, è inevitabile parlare della Romagna e della terribile alluvione di metà maggio, che ha causato danni a volte irreversibili in molte località dell'Appennino Tosco-Emiliano. La situazione è stata difficile anche nel Centro-Nord, che è stato flagellato da continui e violenti episodi di nubifragi e grandinate, soprattutto in Lombardia e Veneto (con quest’ultima regione che ha un peso decisamente significativo nell’economia del vino Italiano, basti pensare al Prosecco), ma anche in diverse altre regioni, colpite fortunatamente a macchia di leopardo, con danni fortunatamente abbastanza circoscritti, e che porteranno il Nord Italia a produrre, quest’anno, circa il 65% del vino Italiano, dato in totale controtendenza rispetto alla norma.

Al netto della situazione contingente di questa annata, però, le domande che assillano la mente degli addetti ai lavori in questi ultimi anni sono sempre le stesse: è in atto un vero e proprio cambiamento climatico? Dovremo abituarci ogni anno ad assistere ad eventi atmosferici violenti (nubifragi, grandinate, allagamenti. ecc.) che prima erano un’eccezione? Sarebbe meglio, come ha provocatoriamente suggerito il meteorologo Mercalli, iniziare a produrre datteri invece che uva?

Le risposte a queste domande, naturalmente, non mi appartengono, e probabilmente sono ignote anche a chi studia questi fenomeni di professione; certo è che in pochissimi anni la situazione climatica è davvero mutata, ed oggi è normale, in alcune zone, andare in vendemmia ad inizio agosto (parlo soprattutto delle uve utilizzate per produrre le basi spumante), cosa impensabile quando ho iniziato ad occuparmi io di vino, una trentina di anni fa.

E non è un mistero, quindi, che si guardi con sempre maggiore interesse all’alto, inteso sia come latitudine che altitudine. Ho già parlato in un mio precedente pezzo, ad esempio, degli English Sparkling Wine prodotti in Inghilterra (e del conseguente innalzamento del limite latitudinale della coltivazione della vite, un tempo fissato nella Champagne). Posso citare, oggi, gli investimenti che alcune aziende Franciacortine stanno attuando in Alta Valcamonica, alla ricerca di temperature più miti, maggiore freschezza e più acidità.

Insomma: mai come in questo caso vale il più classico dei ”chi vivrà vedrà”, nella speranza che il cosiddetto Vigneto Italia (660.000 ettari vitati; 635 varietà iscritte al Registro Nazionale della Vite; 526 denominazioni tra doc, docg e igt) sappia fronteggiare con tempismo le criticità sopra elencate, e che il Bel Paese continui ad essere, nel futuro, sinonimo anche di Buon Paese.

Andrea Fontana


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