27 gennaio 2023

Ancora di etichette e denominazioni (71)

Non si placano le polemiche e l’attenzione dell’opinione pubblica sulla vicenda “etichette del vino” dopo la recente decisione del Parlamento Irlandese di rendere obbligatoria, sulle bottiglie di vino e altre bevande alcoliche, l'indicazione dei rischi per la salute legati al consumo di queste bevande.

Ne abbiamo parlato la settimana scorsa (leggi qui l'articolo) quando, forse, la vicenda era ancora confinata agli addetti ai lavori; tuttavia questa settimana l’eco di tale decisione ha ampiamente superato ogni previsione e si è impossessata delle prime pagine dei giornali nazionali e dei talk show televisivi in prima serata.

Avendone io già parlato, ne approfitto allora per illustrarti, amico mio lettore, amica mia paritaria, qualche sommaria informazione sulla legislazione vinicola e sulle regole di etichettatura dei vini.

Infatti, spesso durante i miei corsi di degustazione mi vengono rivolte domande del tipo: “Perché l'Amarone x è più buono e dell’Amarone y? Perché in questa bottiglia non è indicata l’annata? O l’uva con cui è fatto questo vino?” a cui si può rispondere solo conoscendo un minimo di legislazione vinicola.

Facciamo quindi un po’ di ordine.

Le Denominazioni di Origine (in Italia DOC e DOCG, in Europa DO, in Francia AOC; ma della legislazione vinicola Europea mi riprometto di parlare in un futuro articolo), compiono quest’anno in Italia i 60 anni di età (la legge quadro che le istituì è la 930/63, Ministro dell’Agricoltura era Bernardo Mattarella, papà dell’attuale Presidente della Repubblica), e sono il punto di partenza di ogni ragionamento.

Senza scendere troppo nello specifico, le Denominazioni servono per garantire il consumatore circa la provenienza delle uve, i metodi colturali e gli affinamenti minimi che il vino in questione deve garantire.

Permettimi di specificarlo meglio: non è mai una questione di qualità, ma solo di osservazione di una determinata serie di regole imposte, appunto, dal Disciplinare di produzione.

Perché questo? Perché altrimenti ognuno può fare e scrivere quello che vuole senza che ci possa essere un qualsivoglia controllo. Ma la cosa che molto spesso sfugge al consumatore, è che i Disciplinari di produzione, come già detto, indicano cosa è obbligatorio indicare in etichetta (denominazione, sede della cantina, grado alcolico, lotto di imbottigliamento,capacità del recipiente, annata, ecc.); ma ai vini che non ricadono (o rivendicano) la denominazione è al contrario vietato fornire tali informazioni.

Giusto per capirci: se io coltivo uva nebbiolo a Barolo (che è un comune), iscrivo i miei vigneti al registro di produzione della denominazione Barolo e osservo le regole del disciplinare, potrò scrivere in etichetta la parola “Barolo”.

Diversamente, no.

Anche se per produrre il mio vino utilizzo uva nebbiolo.

Anche se ho la cantina a Barolo. Se non aderisco al disciplinare di produzione, e non osservo pedissequamente tutte le regole imposte (compresa la possibilità di verifiche e controllo da parte della Repressione Frodi), la parola “Barolo” o nebbiolo, l’annata di produzione, ecc. non potranno comparire sulla mia etichetta.

Ancora una volta: perché, ti starai chiedendo?

Per tutelare i produttori che lavorano in un certo modo, ma anche e soprattutto per tutelare i consumatori, che sanno che se sull’etichetta c’è scritto Barolo vuol dire che in quella bottiglia c’è dentro una determinata uva, che ha avuto una determinata resa per ettaro e per pianta, che ha avuto una determinata vinificazione e affinamento, ecc.

Per questo motivo sulle bottiglie di generico “vino rosso” non c’è scritta l’annata né tantomeno il vitigno utilizzato per produrle. Ed ecco spiegato anche perché la parola Amarone o Barolo, o Brunello non sono sinonimo di qualità, ma bensì di caratteristiche organolettiche e soprattutto di pratiche colturali e di cantina analoghe.

Poi, come sempre, è la mano dell’uomo a fare la differenza, e a rendere unica e irripetibile ogni singola bottiglia di ogni singola annata.

Andrea Fontana


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