7 aprile 2023

Ibridi, incroci e vitigni resistenti (78)

Nei mesi scorsi ti ho raccontato, amico mio lettore, amica mia paritaria, cosa sono e come nascono i vitigni (puntata 60, la nascita dei vitigni).

Oggi voglio soffermarmi con te sull'importanza dell’intervento dell’uomo in questo ambito, argomento che ho solo accennato nell’articolo sopracitato.

Facciamo un breve riassunto: nel vedere la nascita e la formazione dei vari vitigni, abbiamo preso in esame anche gli incroci, vitigni nati dalla riproduzione per via sementifera di due piante genitori. Questi incroci, alcuni di origine naturale, altri di origine umana, creano dei veri e propri nuovi vitigni, che poi vengono riprodotti per via vegetativa nei vivai specializzati.

Alcuni nomi accertati di incroci naturali (e che nomi!) sono ad esempio il Cabernet Sauvignon (figlio di Cabernet Franc e Sauvignon Blanc) e il Sangiovese (incrocio tra Ciliegiolo e Calabrese Montenuovo).

Gli esempi di vitigni incrociati creati dall’uomo sono moltissimi, i più famosi sono il Rebo (incrocio creato dal botanico trentino Rebo Rigotti, tra Merlot e Teroldego), il Muller Thurgau (incrocio creato dal botanico tedesco Hermann Muller, nativo del cantone svizzero di Thurgau, tra uve Sylvaner e Chassellas) e il Manzoni Bianco (o Incrocio Manzoni, o Incrocio Manzoni 6.0.13, dalla sigla della sua iscrizione presso i registri della Scuola Enologica di Conegliano, dove il professor Luigi Manzoni tra gli anni venti e trenta brevettò numerosi incroci di vite. Questo, il più riuscito, è nello specifico ottenuto da uve Pinot Bianco e Riesling Renano), ma ne esistono innumerevoli altri.

Ma gli incroci tra i vitigni appartenenti alla stessa famiglia botanica non sono gli unici possibili.

Com’è logico che sia, può succedere che si incrocino (casualmente in maniera naturale, oppure artificiosamente con l’intervento dell’uomo) anche viti non solo di specie diversa, ma anche di genere diverso, ad esempio la vitis vinifera europea con la vitis labrusca americana, o la riparia, la rupestris, la berlandieri, ecc.

I vitigni così ottenuti vengono chiamati ibridi, e sono oggi tra i più interessanti e oggetto di studio e sperimentazione.

Il motivo è presto detto: oggigiorno, finalmente, al centro del dibattito tra gli attori della filiera agroalimentare, la sostenibilità della produzione occupa il primo posto.

Concetti come fabbisogno idrico, consumo di suolo, impoverimento delle riserve, biodiversità, quantità di emissione di co2 nel processo produttivo, efficentamento energetico, sono ormai entrati nel vocabolario comune.

E visto che la viticoltura è una coltivazione fortemente impattante sull’ecosistema e che, ad esempio, richiede un grande impiego di sostanze anticrittogamiche, ecco allora che gli ibridi, o come va più di moda oggi chiamarli, vitigni resistenti, entrano in gioco.

Che cosa sono questi vitigni resistenti?

I vitigni resistenti, identificati con la sigla Piwi (diminutivo della parola tedesca PilzWiderstandsfähige che significa letteralmente “resistente ai funghi”) sono vitigni ottenuti incrociando più e più volte viti del genere vitis vinifera con viti di origine Americana ed Asiatica.

Scansiamo subito gli equivoci: i Piwi non sono OGM (organismi geneticamente modificati) perché ottenuti per impollinazione (si preleva cioè del polline da una pianta “papà” e lo si inserisce nel fiore della pianta “mamma”), che è il metodo che usa la natura per riprodursi.

Inoltre, i Piwi non sono nemmeno frutto di qualche recente idea malsana: la loro nascita infatti è datata dal 1880 al 1935, in Francia, anche se si hanno notizie di sperimentazioni di almeno 50 anni prima negli Stati Uniti. In ogni caso, l’obiettivo è sempre stato lo stesso: ottenere varietà che non necessitassero di portinnesto (pratica invece ancora indispensabile per proteggere l’uva dalla fillossera) e che fossero resistenti alla principali malattie fungine, oidio e peronospora su tutte.

E se il primo obiettivo è ancora ben lungi dall’essere raggiunto, il secondo invece è molto più alla portata, e dopo oltre un secolo di sperimentazioni e incroci oggi esistono Piwi che hanno un patrimonio genetico che supera il 95% di vitis vinifera, e che quindi consente di produrre vino di buona qualità organolettica, ma che mantiene quei pochi marcatori indispensabili per renderli più resistenti alle malattie fungine.

I primi risultati "in campo" sono molto incoraggianti: trattamenti ridotti del 90%, con un beneficio evidente sia per la quantità di sostanze distribuite nell’aria che per l'inquinamento causato dall’utilizzo dei mezzi agricoli.

E così, dopo quasi 150 anni di sperimentazione ed incroci, dal 2013 alcune di queste varietà sono state iscritte al Registro Nazionale delle Varietà di Vite e, di fatto, autorizzate ad essere vinificate, anche se al di fuori delle denominazioni di origine protetta.

Al momento in cui scrivo ci sono 36 varietà di Piwi autorizzate in Italia, per metà a bacca bianca e per metà a bacca rossa. I loro nomi sono decisamente fantasiosi o respingenti, e forse questo è uno dei (tanti) motivi per cui vengono ancora guardati con scetticismo sia dai produttori che dai consumatori.

Queste 36 varietà sono: Bronner, Cabernet Blanc, Charvir, Fleurtai, Helios, Kersus, Johanniter, Muscaris, Palma, Pinot Iskra, Poloskei Muskotaly, Sauvignon Kretos, Sauvignon Rytos, Sauvignon Nepis, Solaris (di gran lunga la più diffusa), Soreli, Souvignier Gris, Valnosia a bacca bianca. Cabernet Carbon, Cabernet Cortis, Cabernet Eldos, Cabernet Volos, Cabertin, Julius, Merlot Khorus, Merlot Kanthus, Nermantis, Pinotin, Pinot Kors, Pinot Regina, Prior, Ranchella, Regent, Sevar, Termantis, Volturnis a bacca rossa.

Lo so a cosa stai pensando: ok, tutto bello, ma il vino ottenuto, com’è?

Confesso di avere ancora pochissimi parametri per poterti rispondere con cognizione di causa: mi è capitato di assaggiare alcuni vini bianchi e li ho trovati enologicamente corretti, freschi, minerali, ma con poca personalità. Di certo la tenuta in bottiglia è un fattore fondamentale che potrà decretarne o meno il successo e, ad oggi, non si hanno ancora informazioni sufficienti per poterla aggettivare.

Staremo a vedere, intanto il consiglio che mi permetto di darti è di approcciarti a questi “nuovi” vini con curiosità e interesse, senza preconcetti e paraocchi.

Andrea Fontana


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