23 settembre 2022

Le denominazioni (58)

L’altra sera, durante una degustazione, ho servito un’etichetta divenuta ormai celebre, il “No Name” di Borgogno, raccontando la storia che c’è dietro a questo nome bizzarro (non la conosci? Poco male, tra poco la racconterò anche a te, amico mio lettore, amica mia paritaria).

L’episodio è stato lo spunto per fare un breve riassunto sulla definizione e sulle differenze delle denominazioni vinicole Italiane.

Riassunto che ti vado ad esternare, visto che mi sono reso conto, in questo nostro appuntamento settimanale, di non avere ancora parlato delle Denominazioni e relative sigle.

Senza entrare troppo nello specifico, la legislazione vinicola Italiana è stata recentemente rinnovata, a seguito dell’approvazione a livello Europeo dell’OCM Vino (Organizzazione Comune del Mercato).

I vini oggi si differenziano quindi in vini a Origine e vini senza Origine.

Tralasceremo questi ultimi, (ti dico solo che sommariamente si suddividono in due tipologie: Vini Varietali -cioè con l’indicazione in etichetta della “varietà”, vale a dire il vitigno: Cabernet, Merlot, ecc.- e Vini da Tavola -che invece in etichetta non riportano nulla) e ci concentreremo solo sui vini a Origine o Denominazione, che poi sono la stragrande maggioranza di quelli che troviamo sulle tavole dei ristoranti o negli scaffali delle enoteche e supermercati.

I vini a Denominazione vengono tradizionalmente rappresentati come un triangolo dove, partendo dalla base, abbiamo IGT (o IGP), poi DOC (o DOP) e infine DOCG, il vertice della classificazione vinicola Italiana.

l’Indicazione Geografica Tipica (o Indicazione Geografica Protetta) è la denominazione più blanda, quella che presenta regola generali più “permissive” (zonazione, resa per ettaro, resa di uva in vino, luogo delle lavorazioni, ecc.), e spesso coincide con un’intera regione (ad esempio Veneto IGT, Piemonte IGT, Campania IGT, Basilicata IGT, ecc.) o una zona geografica ben definita (ad esempio in Lombardia, regione che conosciamo meglio, abbiamo Valcamonica IGT, Montenetto di Brescia IGT, Provincia di Pavia IGT, ecc.).

La Denominazione di Origine Controllata (o Denominazione di Origine Protetta) è invece la classificazione più storica e conosciuta dai consumatori. Ogni DOC rappresenta una ben specifica zona vinicola di produzione, e prevede regole ben precise sulla sua estensione (in un disciplinare di produzione sono elencati dettagliatamente tutti i confini entro i quali ricade la DOC), sui vitigni ammessi e sulle pratiche colturali agronomiche ed enologiche autorizzate.

Abbiamo quindi, in campagna, tralasciando sicuramente molte cose, norme che regolano le rese per ettaro e per pianta, il sistema di impianto minimo e massimo, il sistema di allevamento autorizzato, i trattamenti possibili, ecc.

Scendendo in cantina troviamo invece norme sulla gradazione alcolica minima, sulle caratteristiche organolettiche che il vino deve presentare, sui tempi minimi di affinamento e la tipologia di recipiente che si deve utilizzare, ecc.

Infine abbiamo la DOCG, dove oltre alla Denominazione di Origine Controllata appare una lettera in più, la “G” appunto, che significa “Garantita”.

Ma “Garantita” da chi? E che cosa viene Garantito?

La sostanziale differenza tra un vino DOC e un vino DOCG (oltre all'estensione della zona di produzione e alle norme agricolo/enologiche, che sono molto più restrittive) sta nel fatto che esiste una commissione di assaggio che ogni anno assaggia alla cieca (cioè senza vedere la bottiglia) tutti i campioni di vino di tutte le aziende che fanno richiesta della “fascetta”, e garantisce che il vino in oggetto sia conforme alle normative.

Attenzione: non che sia “buono” o meno, ma che sia “conforme”. Cosa vuol dire? Che abbia le caratteristiche organolettiche (profumi, colore, sapore, ecc.) che il disciplinare di produzione impone.

Da chi è composta questa commissione d’assaggio? Da persone che fanno il mio mestiere (degustatori professionisti), da tecnici del Consorzio di riferimento, da agronomi ed enologi che operano nel territorio, ecc.

So già a cosa stai pensando: “e si, ok, ma siamo in Italia, vuoi che la conformità non venga assegnata a tutti”?

E invece no, non è così, e con questo mi riallaccio all’esempio con cui ho iniziato questo breve articolo.

Succede, non di rado ma neanche troppo frequentemente, che qualche campione venga “bocciato” e ritenuto “non idoneo” alla tipologia prevista.

Cosa può allora fare il produttore? Dove è presente, può declassare il vino alla Denominazione a cascata inferiore (ad esempio viene bocciato il mio campione di Chianti Classico e allora posso etichettarlo come Sangiovese di Toscana IGT); se invece non c’è questa possibilità il vino verrà commercializzato come un semplice Vino da Tavola.

Uno dei casi recenti più famosi è appunto quello del No Name di Borgogno. Il vino in oggetto, se non ricordo male dell’annata 2007, non fu ritenuto idoneo a essere classificato come Barolo, e fu bocciato dalla commissione di assaggio.

Con una geniale trovata di marketing, l’azienda lo etichettò appunto con la dicitura “No Name” (senza nome) e il sottotitolo “Etichetta di Protesta”, e lo vendette ad un prezzo ovviamente inferiore rispetto ai suoi Barolo.

Fu un successo commerciale enorme (di fatto il consumatore si trovava a bere un “quasi” Barolo al prezzo di un Nebbiolo) e da quell’anno l’azienda decise ogni annata di “declassare”

autonomamente una botte di Barolo a “No Name”, continuando così ad alimentare il racconto che ti sto facendo.

E’ l’unico caso del genere? Assolutamente no. Ad esempio, per stare più vicini a noi, uno degli ultimi anni che Cà del Vent, azienda di Cellatica, richiese l’idoneità alla commissione della Franciacorta, questa gli fu negata, ed etichettò allora il suo VSQ (Vino Spumante di Qualità, unica sigla possibile non avendo la Franciacorta una denominazione di ricaduta) con il nome di "L'Escluso".

Altri casi in altre denominazioni sono successi, anche per aziende blasonate (ricordo ad esempio Isole e Olena nel Chianti Classico), a riprova che questa metodologia di lavoro, che punta a mantenere alta la qualità di una denominazione, è sicuramente perfettibile ma altrettanto importante e, nella maggior parte dei casi, rigorosa e funzionale.

Andrea Fontana


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